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Ciao iMaurizio, io ho comprato la versione italiana edita da Feltrinelli ( comprata nel relativo negozio), tradotta (abbastanza bene anche in termini musicali ) da Edoardo Fassio.
Non avevo fatto ricerche sull'esistenza dell'opera originale .

Geoffrey Ward ho visto essere un editore, un autore e anche coautore, non so in quale veste sia presente in questo libro, e nella versione italiana in mio possesso non è proprio citato.

Il libro riporta solo il titolo dell'opera originale :
"Moving to higher ground : How Jazz can change your life"   e  "Copyright 2008 by Wynton Marsalis Enterprises ".

Tuttavia non mi meraviglierebbe  la presenza e l'accostamento all'autore di siffatte figure professionali, ; spesso , infatti, queste sono utilizzate , nella stesura del testo , quando l'autore del libro non è un professionista del settore. ;)
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Ma nella copertina o nel libro è citato Geoffrey Ward ?


Perché vedo che nell'edizione in lingua originale è citato come co-autore mi pare....
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Spunti interessanti, risponderò con calma e per tema   :D

Intanto mi hai incuriosito col libro di Wynton, non lo conoscevo o forse non mi ricordavo di averne sentito parlare, penso che lo ordinerò, grazie della segnalazione 
pollices
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E' un piacere confrontarsi con te , iMaurizio ! Vediamo se facciamo um parallelo con la letteratura.
 Ci sono libri, scritti male e  che non ti dicono niente , (magari  ad altri dicono  qualcosa ) , libri scritti bene ma che non ti aggiungono niente, altri che li leggi tutto di un fiato perchè ti appassionano, ti intrigano per come si svolge la trama, ....alcuni ti ... arricchiscono come persona e ti fanno riflettere e ti rimangono dentro , (li conservi e li rileggi con piacere) , altri sono "tosti" e devi capirli , studiarli e digerirli bene, altri sono tecnici e devi avere le "basi " per poterli leggere... (Altri , a volte, si prestano ad essere riletti tempo dopo,  pian piano che  maturi nella tua esperienza di vita e di conoscenza , e riletti tempo dopo , alcuni di essi ,  si aprono a "nuove " chiavi di lettura . ... E' tutto un percorso...
Così , secondo me è un po' la musica: i generi , i brani , il componimento, l'interpretazione, i passaggi tecnici , melodici, armonici...
.. ognuno da assaporare pian piano nel tempo,   man mano che la tua esperienza si sviluppa...impari nel tempo ad ascoltarli ed  apprezzarli...

Partiamo dallo scrivere un libro , pardon un brano ... :D  (Teniamo comunque presente la soggettività di ogni individuo )...
Ci sono brani che non ti dicono niente e brani che  lasciano una traccia dentro di te...
L'autore è stato capace di congelare e trasferire in uno spartito le sue emozioni, il suo "sentire" durante tutto l'arco del brano, lo si capisce e lo si sente da come lo suona , è coerente alla sua personalità, è coerente al suo modo di esprimersi, al suo sentire, durante tutto l'arco del brano (il brano risulta continuo e scorrevole .. senza impuntature ... le frasi sono legate  e sono un continuo nell'espressione di ciò che l'autore sta esprimendo fino alla fine.
Rieseguirlo è un compitino ?  Potrebbe... però alcune esecuzioni (e non stò parlando delle interpretazioni o improvvisazioni ) eseguite da altri , non danno e non regalano lo stesso "sapore" come quando il brano è fatto/eseguito dall'autore.

..."Cercare" le note , scavando nel proprio intimo (e anche congelarle in uno spartito) , è un' operazione che nasce dal guardare dentro di Se.

Puoi esprimerti anche nel Bebop, e la tecnica è solo uno strumento per farlo. Per me Woody Shaw rientra fra questi.
L'interpretazione e l'improvvisazione... Mi è capitato spesso di ascoltare delle interpretazioni e delle improvvisazioni che alcune volte erano più interessanti dell'esposizione del brano..
"Leggere" un brano nella sua interpretazione ( e secondo la tua espressione ) richiede tutte quelle qualità di cui abbiamo parlato e hai sottolineato anche Tu (anche ampliando alcuni aspetti o valutandoli da altri punti di vista ).
Per quel che mi riguarda, si percepisce/percepisco quando l'interprete , nella sua interpretazione, è " dentro"  il brano, come lo stà vivendo e come lo sta' interpretando. ... E si capisce pure "quanto è dentro " il brano :
 1) nella "sua" profondità ( la profondità insita nel Brano stesso, e
2)nella "Sua ( profondità propria dell'artista che lo sta' eseguendo).
Lo si capisce dalle note che cerca, dall'espressione e dall'idea che vuole esprimere.
 
Questo si capisce e lo si avverte, sia nei brani bebop che in quelli più "interpretativi" , e mi riferisco all'interpretazione di quei brani (per quanto mi riguarda) che già di loro mi hanno lasciato qualcosa, per come sono stati scritti, per come l'autore ha saputo trasferire delle emozioni ed un sentire un più profondo che mi è già arrivato e perciò sono già presenti nel brano stesso..

E' nella natura stessa dell'improvvisazione cercare di seguire un'idea secondo il proprio sentire..(...e chi lo nega?) . Purtuttavia la "profondità " del sentire  spesso non riesco a coglierla (mi sto' volutamente dando la colpa)....

Concludo dicendo che queste (e tante altre ) concettualità di cui abbiamo accennato, sono ampiamente espresse e toccate anche con maggiore profondità ed attenzione nel libro di Wynton Marsalis : "Come il Jazz può cambiarti la vita" , un libro autobiografico, in cui Lui ripercorre la sua vita e di come la sua maturazione si sia sviluppata, nel tempo .

In questo libro, con un'onestà intellettuale veramente ammirevole , non manca di  riportare le critiche ricevute ed i consigli rivoltigli da tanti colleghi jazzisti fra i più  famosi al mondo (anche musicisti di strumenti diversi ad es. ho trovato molto interssanti quelli rivoltigli dal pianista del Modern Jazz Quartet,) con i quali Lui si è spesso  confrontato. Il bello è che cui se conosciamo, fra di essi,  uno specifico artista (e ne conosciamo la sua discografia ), possiamo ritrovare e capire aspetti che loro hanno curato e considerato per diventare dei Grandi ( e che con generosità hanno messo a disposizione di  Marsalis, il quale  a sua volta, li mette a disposizione del lettore, ( perchè sa che fra di essi sicuramente ci saranno  musicisti). ...Tutte considerazioni e aspetti che l'hanno aiutato (ed aiutano ovviamente anche qualsiasi altro musicista ) a crescere nella propria maturazione ed individualità. Anche Lui , naturalmente, non manca di elargire utili suggerimenti,
Ho trovato interessante , e potrebbe sicuramente essere inerente  a questo thread, una  sezione  nella quale lui presenta come sia cambiato nel tempo, il suo approccio alla comprensione e a  come suonare ed esprimere il blues..( una comprensione ed una approccio ( per me ) valido   non solo per il blues ).
....E' un libro che non mi stanco (anche a capitoli ) di rileggere...
.. Non è facile ( ed è individuale , ( ad iniziare dall'artista che la esegue))  esprimere la "percezione della profondità del sentire"  in un brano...
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La mia percezione all'ascolto di gran parte dei trombettisti (viventi) , mi fa propendere per uno sbilanciamento nell'esecuzione dei brani verso la tecnica e non verso la percezione di una espressione musicale che esprima il sentire proprio del musicista.
E' come se i trombettisti di oggi, rispetto a quelli del passato, abbiano perso l'interiorità dell'anima ,... e non la vadano neanche a cercare...
...Ma secondo te, e secondo Voi, non c'è questo sbilanciamento al giorno d'oggi ?

Sicuramente ci sono molti trombettisti (e non solo) che fanno un uso preponderante della tecnica strumentale,
ma faccio più fatica ad affermare che a causa di questo essi non stiano esprimendo sé stessi e il "proprio sentire" nella musica.

Quando ascolto che so.....Amato o Bosso, per citarne 2 italiani, a me sembra che stiano suonando proprio come piace a loro,
come intendono e sentono la musica e come interpretano il ruolo del trombettista nel jazz.
Ma come esistono loro esiste anche Fresu, Rava e altri nella storia del jazz italiano che hanno rappresentato un approccio di tipo differente rispetto all'uso dello strumento.

Del resto i tecnicisti sono sempre esistiti, anche negli anni d'oro del jazz:
Freddie Hubbard, Clifford Brown, Lee Morgan, i fratelli Candoli, Dizzy Gillespie, Booker Little, Woody Shaw (e si potrebbe continuare) sono stati tutti musicisti
che hanno governato con virtuosismo le difficoltà tecniche dello strumento, esprimendosi liberamente secondo il loro gusto e facendo apparire i loro fraseggi più semplici di quello che sono nella realtà.
Dubito si possa contestare a questi personaggi di aver fatto prevalere la tecnica strumentale ad un espressività più intensa ed interiore. 

Credo in definitiva che un tecnicismo prevalente e un espressività un po' algida possano sì essere riscontrate contemporaneamente in una stesso musicista,
ma non è detto che la presenza di uno dei due aspetti comporti per forza la presenza dell'altro.  :)


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non è che uno debba essere un virtuosista completo sullo strumento, o meglio prendiamola più dolcemente, non è che uno debba per forza essere completo in tutte le espressioni  dellle capacità tecniche sullo strumento per potersi esprimere nella sua individualità musicale , è sufficiente che lo sia nel range che possa soddisfarlo  nel poter esprimere  il suo sentire.

Sono d'accordo, e infatti ognuno deve capire per sé a quale risultato puntare e poi scegliere i materiali di studio adatti per andare verso quella direzione.

Ma non esiste nessun obiettivo possibile da un punto di vista musicale che possa essere raggiunto senza l'ausilio di un corrispondente studio dello strumento.

Poi certo uno può decidere che tendenzialmente suonerà solo delle ballad o comunque dei brani
non veloci, con temi semplici tecnicamente etc..., però con un genere come il jazz non arrivare a suonare fraseggi ad ottavi sui tempi dai 120 ai 180 bpm (quindi non velocità altissime) secondo me ci si perde una gran parte del divertimento.  :)
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Possibile che sto' li ad incamerare suoni , scale , armonie e poi mi fermo a valutare "solo" la tecnica  e non mi fermo a chiedermi se sono capace di valutare me stesso dal punto di vista della capacità di trasmettere emozioni ?

Secondo me nello studio e crescita di un musicista queste sono e tendono a rimanere due fasi distinte, spesso anche distanti nel tempo, e non devono diventare una sorta di dilemma esistenzial-musicale per lo strumentista.


Se uno vuole interrogarsi sulla propria capacità di trasmettere emozioni e su come migliorarla può farlo,
ma questo non viene indebolito dal fatto che parallelamente uno vada a studiare delle frasi, dei pattern melodici, dei frammenti di assolo, degli elementi grammaticali che poi torneranno utili quando si andrà a fare un improvvisazione.

E concludo dicendo che studiando la tecnica non si fa mai solo la tecnica, ma si studia anche la capacità di essere espressivi.

Un tema come My Funny Valentine, per fare un esempio, da un punto di vista delle difficoltà tecniche è bene o male alla portata di tutti, ma un conto è suonare le note in fila, a tempo, intonate etc.., altro è riuscire a farlo con intensità, espressività, comunicando come dici tu delle emozioni.
Non è così semplice come sembrerebbe  :)
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Certo, va da sè, anche io la penso così , ma non è che uno debba essere un virtuosista completo sullo strumento, o meglio prendiamola più dolcemente, non è che uno debba per forza essere completo in tutte le espressioni  dellle capacità tecniche sullo strumento per potersi esprimere nella sua individualità musicale , è sufficiente che lo sia nel range che possa soddisfarlo  nel poter esprimere  il suo sentire.
La mia percezione all'ascolto di gran parte dei trombettisti (viventi) , mi fa propendere per uno sbilanciamento nell'esecuzione dei brani verso la tecnica e non verso la percezione di una espressione musicale che esprima il sentire proprio del musicista, (e non mi riferisco allo stile , perchè uno potrebbe pure avere un proprio stile e non comunicare granchè).
E' come se i trombettisti di oggi, rispetto a quelli del passato, abbiano perso l'interiorità dell'anima ,... e non la vadano neanche a cercare...
....  Poi nella vita, ognuno fa' come gli pare, e la vede con il proprio punto di vista.

...Ma secondo te, e secondo Voi, non c'è questo sbilanciamento al giono d'oggi ?

Potrebbe essere questa la causa per la quale la musica jazz , ha perso " Appeal " ?  :)

O,,, il mio concetto di " Appeal " è ancorato a un concetto di " Appeal "  passato ,  che non è quello odierno ?    ::)   :)
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una volta che hai educato l'orecchio alle assonanze / dissonanze che ogni nota produce in relazione all'accordo , all'armonia, ai collegamenti armonici che le note e/o le  scale producono, il senso e lo sviluppo di una melodia o di un solo dovrebbe   comunque essere l'espressione di un tuo sentire e non l'espressione di una mera capacità tecnica di esecuzione...

Certo, ma non sono due approcci in contrapposizione o che si escludono a vicenda,
sono due componenti che insieme concorrono alla realizzazione del risultato finale.

Il tuo sentire è dentro la mente ma per poter essere ascoltato deve passare necessariamente dall'esecuzione fisica in un tubo di ottone  ;D
Puoi essere anche il musicista più ispirato, raffinato e poetico, ma se non hai la capacità tecnica di eseguire quello che ti passa per la mente farai fatica ad esprimerti.

E chi ascolta da fuori farà più fatica a percepire l'esecuzione come spontanea, fluida, espressiva.

Un insegnante potrebbe ribaltare il tuo dubbio e dire che la capacità tecnica diventa mera
solo quando non è adeguata a quello che si vorrebbe fare.
In altre parole se non padroneggi lo strumento il rischio è che quando suoni tenderai a concentrarti soprattutto sulla difficoltà/peculiarità tecnica di quello che stai eseguendo, togliendo attenzione invece alsentire e tutti gli aspetti più espressivi e squisitamente musicali.
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Grazie della risposta iMaurizio, mi hai rinfrescato un po' i ricordi delle lezioni  della scuola jazz.⁶
Riporto alcune delle considerazioni che ci venivano riportate dai docenti nel caso si fossero voluti suonare le note degli accordi contigui ( o qualsiasi  altra nota/e della scala ) senza cambiare gli accordi nelle battute, - dicevano :
Tenete comunque presente che
 su ogni nota dellla scala è possibile
costruire un accordo che contenga tutte le altre note della scala:
ad es. Se utilizzi la scala di Do sul Re (II grado)puoi ottenere fino a un Rem7/9/11/13
Sul  Sol (V grado) puoi ottenere  fino a un Sol7/9/11/13
Sul Do (I grado) puoi ottenere fino a un Do maj7/9/(11)/13
Sul La (VI grado) puoi ottenere  fino a un Lam7/9/11/b13 e così via per tutte le note della scala... Alla fine ,  ci dicevano, quello che conta è capire , (avere nelle orecchie) il suono che queste note producono in termini di assonanze o dissonanze per  capire quali note utilizzare per esprimere quello che senti. E questo acquisire come suonano le note su accordo  può essere ottenuto anche utilizzando note che non appartengono alla scala...Alla fine, ci dicevano, puoi utilizzare di tutto (sapendolo fare)..
La conclusione era
,comunque che, una volta che hai educato l'orecchio alle assonanze / dissonanze che ogni nota produce in relazione all'accordo , all'armonia, ai collegamenti armonici che le note e/o le  scale producono, il senso e lo sviluppo di una melodia o di un solo dovrebbe   comunque essere l'espressione di un tuo sentire e non l'espressione di una mera capacità tecnica di esecuzione...il riempitivo, purtroppo, si è  trasformato sostanza,  ..e questa " sostanza" .quella vera,( di sostanza) invece,  sembra essere presente proprio in piccola quantità.. ...E quindi torno a chiedermi: Possibile che sto' li ad incamerare suoni , scale , armonie e poi mi fermo a valutare "solo" la tecnica  e non mi fermo a chiedermi se sono capace di valutare me stesso dal punto di vista della capacità di trasmettere emozioni ?
 Possibile che il "così  fan tutti " della  bella tecnica,  non mi faccia aprire gli occhi sulla povertà di trasmissione emozionale che c'è  in giro, nei brani, in me stesso, ...e non mi stimoli invece a smuovermi ?
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