N.2 LE CANTONATE DI MUSICA JAZZ e di certi critici italiani nel corso degli anni:
«Se John Colrrane suonasse sempre, avesse suonato sempre, come fa nel brano che da il titolo a questo microsolco, My Favorite Things, sarebbe uno dei più grandi solisti contemporanei [..,]. II guaio è che Coltrane ha dietro le spalle molti anni di mediocre mestiere [...]. Prendete i dischi da lui incisi con Miles Davis fino al 1957, e anche quelli di poco posteriori [...]: il suo discorso e insignificante e francamente noioso, intessuto com'é dei più bolsi luoghi comuni. E ricordatevi dello schiamazzante sassofonista che si presento lo scorso anno, a Milano, col quintetto di Davis [...]. Che uomo e mai questo, che non ha detto assolutamente nulla di interessante negli anni in cui di solito un musicista di jazz dice le cose migliori e da tutto se stesso? E come si spiegano i tonfi che di tanto in tanto fa anche ora [...]? C'e solo un modo per spiegarci tutto questo: che la recente, improvvisa e stupefacente fioritura artistica di John Coltrane sia stata determinata, in grandissima parte, da uno straordinario sforzo di volontà, e che il suo stile sia quindi il risultato di una scelta arbitraria, fatta con fredda determinazione». («Musica Jazz», n. 176, luglio-agosto 1961).
Nello stesso numero, rispondendo a un lettore: «La verità e che il Nostro non e un artista nel senso pieno del termine: e un musicista ingegnoso che dopo infiniti sforzi (ci son voluti quindici anni) ha inventato uno stile originale, che pero e cosi poco naturale da scivolare spesso nell'assurdo e quindi nel brutto».
L'ATTACCO CONTINUA:
«Davis e Coltrane hanno fatto fiasco, a Milano come nelle altre città europee, anche se non sono mancati coloro che hanno applaudito con entusiasmo, convinti di aver assistito a uno spettacolo straordinario, e più precisamente di essere stati i testimoni oculari di una svolta nella storia del jazz [.,.]. Se qualche dubbio di non aver capita bene mi era rimasto dopo 1'ascolto dei suoi dischi, esso si e dissolto come neve al sole all'audizione diretta. Vi dirà quindi, senza alcun rimorso, che Coltrane e, a mio sommesso parere, una caricatura di Sonny Roliins, su cui non vale la pena (Dio mi perdoni) di spendere parole. Anziché geniale, il suo discorso solistico mi e parso bislacco e sgangherato, e anche volgare [...]. Come poi si possa, dopo aver sentito per un'ora Getz, prendere sul serio Coltrane, ha costituito per me 1'enigma della serata» («Musica Jazz», n. 163, maggio 1960).
Ecco, questa è la storia ufficiale di Coltrane in Italia. Ci sarebbe anche L'articolo di Umberto Santucci (Jazz + Microstruttura + John = Coltrane, in «Musica Jazz», n. 198, luglio-agosto 1963), ma riproporne la lettura - scrive Enrico Cogno - non farebbe che aggravare la situazione, visto che si trattava di un dilettantistico tentativo di fusione della cultura scientifica con la cultura estetica, su una base di idealismo velato fino al limite del qualunquismo: «Dal Baumgartner al Croce, fino ai moderni teorici dell'estetica (Pareyson, Eco, ccc.), e riconosciuto all'arte un valore conoscitivo, che si realizza mediante un processo di intuizione-espressione, anziché mediante un processo logico, proprio alle scienze e alla filosofia». L'equivoco sta tutto in quel «ecc.».
Tratto dal libro di Enrico Cogno, JAZZ INCHIESTA: Italia, Il Jazz negli anni '70.