Quello che secondo me è l'aspetto più importante è il riconoscimento del fatto che i neri americani hanno prodotto i contributi più cospicui alla storia della musica quando hanno avuto la possibilità (o perché ciò era permesso dal contesto sociale, o perché ne avevano preso coscienza) di dare libero sfogo proprio a quell'anima africana che invece spesso erano costretti (o anche solo incentivati) a tentare di abbandonare per cercare sollievo dalla loro condizione di segregazione nell'assimilazione alla cultura dei bianchi.
Ecco qui ho alcuni dubbi, voglio dire che secondo me gli afroamericani hanno prodotto le cose più interessanti (vedi il jazz) quando hanno applicato l'anima africana (studiata da Samuel Floyd jr. in "The Power of Black Music") alla cultura occidentale, creando un sincretismo nuovo e originale (vedi il ragtime per dirne una).
Il jazz in fondo nasce proprio da un meticciato africano ebraico irlandese italiano ecc. e dalla necessità di rendere proprio quanto si trovava dinanzi come altro.
Questo atteggiamento rientra in un'ottica evolutiva borghese in linea con il pensiero di leader neri come WEB Du Bois autore nel 1903 di The Souls of Black Folk, reperibile in italiano.
E' quanto Baraka (o Cane in Italia) non riesce ad amettere, perché la rivendicazione che sostiene (e fa parte del grande movimento per i diritti civili di quegli anni) deve sempre essere giustificata in base a una lettura univocamente marxiana.
Pensando a G. Cane, nel suo libro su Ellington si avverte il fortissimo disagio nel dover celebrare un genio senza ombra di dubbio borghese.
Con questo non nego l'importanza delle altre classi sociali, Armstrong era figlio del sottoproletariato di New Orleans!
I migliori risultati nel jazz (nero, ebreo, italiano ecc) si ottengono quando i valori delle "roots" di solito conservati negli strati sociali più poveri (leggete magari "Amatissima" o "Jazz" di Toni Morrison), sono uniti alla voglia di crescita e sperimentazione propria dei ceti emergenti.