Io ho passato i primi 5 anni a premere come un dannato. La cattiva impostazione iniziale ha causato una serie di compensazioni a cascata, l’impostazione si era spostata di lato (ancora oggi è un po’ così...), la pressione su labbro superiore e denti era mostruosa, ma non avendo termini di paragone per me era tutto normale. Studiavo con molta costanza, ma bastavano anche solo due o tre giorni di pausa per farmi perdere terreno. Tutto era molto precario, cambiare bocchino mi spaventava, col caldo il sudore era un problema perché il bocchino scivolava. Avevo costantemente il segno del bocchino sul labbro, ma per me era quasi una medaglia... Ero arrivato a suonare parti di prima tromba upper intermediate, ma con grande fatica, tanta imprecisione e sempre al limite come resistenza.
Ad un certo punto il tutto ha cominciato a collassare. Più studiavo, più fatica facevo, spesso mi capitavano giorni in cui niente funzionava, finché tutto è crollato, penso che il labbro non abbia rettò più ed in pratica non riuscivo più a suonare. Ricordo un giorno in sala prove che per la frustrazione buttai la tromba a terra... A quel punto fui costretto a prendere il toro per le corna e cominciai il percorso che mi ha portato a ricominciare praticamente da zero o quasi.
Perché succedono queste cose? Al di là dei limiti della didattica, di cui abbiamo tanto parlato, il problema è che la tromba presenta un’insidia “psicologica” connaturata al suo funzionamento: è molto facile che l’istinto ti porti a fare sistematicamente l’opposto di quello che dovresti fare. Quasi tutti all’inizio usiamo più pressione è più energia del necessario per produrre il suono. In una certa misura è normale, con la giusta guida ci si lavora e si affina la tecnica, ma se questa guida manca e non c’è una particolare predisposizione è molto facile e molto frequente che queste tendenze vadano consolidandosi. Basta leggere qualsiasi forum di tromba del mondo per trovare gente che anche a distanza di anni lamenta di far fatica a suonare sopra il rogo e/o ad arrivare alla fine di un concerto di un’ora, che racconta di problemi alle labbra, lesioni, denti che si muovono...
Ci sono persone che, nonostante abbiano questo approccio, riescono ad arrivare a livelli anche notevoli, grazie evidentemente ad una predisposizione fisica che gli permette di limitare i danni, ma comunque il conto prima o poi arriva. Come minimo questo tipo di trombettista è poco longevo. Un esempio è Louis Armstrong, che ebbe il suo apice tra i venti ed i trent’anni, ma che sui quaranta era già l’ombra del trombettista che era stato. Nella seconda parte della sua vita suonò sempre meno e cantò sempre più, non solo per ragioni commerciali.
Per contro uno come Doc Severinsen, dotato di tecnica sopraffina, spaccava il culo ai passeri ancora ben dopo gli 80 anni, e per quanto ne so ancora oggi che ne ha 93 se la cava.
Tanti si situano nel mezzo. Moltissimi raccontano storie come quella di Tofanelli, storie di percorsi di correzione di questo genere di approccio.
Alla luce di questo la didattica per la tromba è particolarmente importante, ed è triste constatare che ancora invece sopravvivano veri e propri falsi miti, perpetuati da insegnanti magari di buona volontà, ma del tutto impreparati e che continuano a fare danni, anche in sedi istituzionali.
Ed è per questi motivi che qui insistiamo tanto su aspetti che molti erroneamente considerano quasi esoterici... Perché tutti noi, ognuno col suo percorso, abbiamo toccato con mano quanto pare corretta didattica possa fare la differenza tra suonare bene o male, o nel mio caso tra suonare e non suonare più.
Anche un certo approccio all’equipaggiamento è figlio di queste idee: è chiaro che se suoni di forza per te la differenza tra una tromba ed un’altra si sfuma... È quando la tecnica è corretta che puoi renderti conto di certi dettagli che, a quel punto, diventano rilevanti.