Per me si sta facendo un po' di confusione tra due piani diversi. Una cosa è come si è evoluto il linguaggio a livello di professionisti, e lì concordo con Zosimo che chi fa musica oggi non può non tenere conto di questo.
Ben altro è quello di cui stiamo discutendo qui, che è l'approccio di dilettanti appassionati di jazz, che suonano per divertirsi. Su questo piano il discorso è completamente diverso, e concordo con Mar quando dice che esiste un livello di improvvisazione che è accessibile a tutti, e fare delle semplici varianti ad un tema può essere più che soddisfacente per chi suona ed anche per un pubblico che magari non è di appassionati del genere, ma più di frequente di parenti ed amici che magari ad un concerto di jazz non ci andrebbero mai.
Però, sempre sul piano dei dilettanti, per quanto l'improvvisazione nel jazz sia importantissima, bisogna però sempre avere coscienza dei propri limiti e capire quando è il caso di lanciarsi e quando no. La decisione dipende da tante cose, dal proprio livello prima di tutto, ma anche dal contesto, dal repertorio e via dicendo. Se sono ad una riunione di amici, e con un amico pianista si comincia a strimpellare, ci si può anche lanciare con serenità. In un concerto con una big band amatoriale invece io sarei più cauto, e forse non essendo sicuri di essere in grado di fare un'improvvisazione non solo giusta, ma anche gradevole, suonando un solo scritto si fa con ogni probabilità un grande favore a sé stessi, ai compagni ed al pubblico... E sia chiaro, lo dico per esperienza personale, perché mi è capitato di riascoltarmi in alcune registrazioni e di provare vero imbarazzo...
Più in generale, penso che i dilettanti jazzisti siano (comprensibilmente, sia chiaro) ossessionati dall'improvvisazione. Ripeto, è vero che nel jazz l'improvvisazione è molto importante, ma non bisogna dimenticare che ci sono altri aspetti importanti che da un punto di vista didattico vengono prima, come il linguaggio, le dinamiche, il suono e, soprattutto, quella che è la vera anima del jazz e quello che realmente lo distingue come genere musicale, quell'atteggiamento ritmico che chiamiamo swing. Mettersi ad improvvisare senza avere sufficiente padronanza di queste cose non può che produrre risultati scadenti, e qui si che vale il riferimento ai grandi del jazz, che si sono tutti fatti le ossa prima suonando in ensemble di vario genere, in primo luogo nelle big band, suonando arrangiamenti scritti o imparati a memoria. Ecco, nella didattica del jazz in Italia mi sembra che si tenda a correre troppo presto verso Aebersold e compagnia bella, mentre invece sarebbe opportuno spendere più tempo sulla corretta esecuzione (per imitazione) di quello che altri hanno già fatto.