Vediamo di ravvivare un po’ la discussione.
Io ascolto jazz soprattutto la sera, quando torno da lavoro, con un bicchiere di vino in mano, oppure dopo cena, con un bicchiere di rum in mano.
È un momento di “decompressione", in cui smaltisco le scorie della giornata.
A volte sono solo, a volte no.
Sono sicuro che ci sono melomani in tutto il mondo che godono delle stesse abitudini… ci sono quelli che si comprano un impianto stereo pazzesco per ascoltarsi la cavalcata delle valchirie la domenica mattina, ma per me il jazz è di più.
Il jazz per me è un luogo sicuro e insicuro al tempo stesso. È una comfort zone che viene messa continuamente alla prova dalle dissonanze tipiche di questo genere (sì, quelle su cui scherza il fantastico Checco Zalone). Dissonanze che scuotono la mia coscienza, e che la elevano portandomi in una nuova comfort zone, più frizzante, meno pigra.
Le esperienze di ascolto dal vivo sono diverse, sotto molti punti di vista.
Mi ricordo una serata ad ascoltare McCoy Tyner, ero seduto su uno sgabello, e il mio corpo non riusciva a stare fermo… cercava di tenere il ritmo in tutti i modi. Ancora oggi se ci ripenso sento quella scossa, quel brivido di vita.
Però mi ricordo anche concerti di musicisti di gran nome svogliati, stanchi, con la testa da un'altra parte.
E adesso è arrivato il momento di affrontare di petto la questione. Il jazz è morto? Secondo me affrontiamo l'argomento da un punto di vista sbagliato. Il problema non è il tipo di musica, la società, o il fatto che non c’è più niente di nuovo da sperimentare perché è stato già suonato tutto.
Il problema è che nelle nostre città non ci sono più i posti dove suonare e crescere come musicisti, e dove sviluppare la passione dell'ascolto.
I locali dove si suona musica dal vivo non rendono più, e in Italia sono stati decimati.
Ad esempio a Milano c’è il Bluenote che attira musicisti importanti da tutto il mondo, l’élite. I prezzi sono stellari e un concerto dura 40 minuti, poi devi uscire perché c’è la seconda sessione. Ci sta. Ma accanto a questo tipo di offerta dovrebbero esserci dieci, venti piccoli locali per appassionati, locali che più nessuno ha voglia di gestire, perché ci sono modi più facili per fare i soldi, e quindi ci ritroviamo con locali tutti uguali, con la stessa musica di sottofondo, con gli stessi cocktail. Tutti pieni, dalle 18 alle 2 del mattino.
Diversa la situazione a Parigi, a Berlino, a Praga.
Il jazz per sopravvivere ha bisogno di esistere nella quotidianità, di stare in mezzo alla gente.
Altrimenti sì che finisce come la musica classica, che si ascolta solo nelle sale degli auditorium.