D"accordo su tutto con Norman, anche se Marsalis ha assunto proprio il ruolo di conservatore della tradizione, e la parola conservatore in questo caso non ha nessuna connotazione negativa.
Le critiche gli vengono mosse un po' perché è troppo bravo, quasi disumano per certi versi (quindi un po' di rosicamenti e di invidia) e un po' perché gli si rinfaccia di aver contribuito con le sue prese di posizione a soffocare eventuali novità (ma sappiamo tutti benissimo che se ci fosse qualcosa di nuovo e di valido troverebbe da solo la forza per emergere, nonostante Marsalis).
Trovo anch'io fantastico come lui e la sua band abbiano lavorato e fatto propri in maniera originale questi bellissimi brani della tradizione francese, brani che già amavo.
Se avete voglia di cercare, su youtube ci sono anche alcuni video delle prove di questo concerto, da cui si può notare che anche se un canovaccio era presente, la sera del concerto tutti sul palco hanno improvvisato parecchio, e soprattutto ci hanno messo molto sentimento e passione.
Questo è il jazz.
Il fatto che poi la loro impronta sia quella di muoversi nel solco di una tradizione consolidata è un valore aggiunto non una colpa.
Vi invito a riascoltare Walter Blanding (sassofonista) ad esempio in Padan Padan, da 13.08, oppure la struttura struggente che è stata data a Strange Fruit (da 53.47): dolore, morte, urla, dentro alla tradizione, quasi camminando dietro una bara in un afoso pomeriggio di New Orleans.
Questo non è solo un brano eseguito in un concerto, è il teatro della vita, messo in scena magistralmente.
Alla faccia di chi trova Marsalis freddo, troppo cerebrale e distaccato, troppo tecnica e poca emozione.