Apro questa discussione partendo dallo spunto che mi ha dato la lettura del trattato di Amiri Baraka sulla storia del 'popolo del blues' (
http://www.italiantrumpetforum.it/forum/index.php?topic=2338.msg38093#msg38093), perché ritengo tratti di aspetti interessanti per chi si interessa di jazz e penso si possa ricollegare a discussioni passate che sarebbe un peccato far cadere nel vuoto.
Il libro è un saggio sulla storia della condizione dei neri americani analizzata attraverso l'evoluzione della loro musica. L'autore infatti parte dal presupposto che la musica è il prodotto della condizione emotiva di chi la crea, e quindi è rappresentazione estremamente genuina di come l'artista (ma anche il fruitore) percepisce (anche in maniera non pienamente cosciente) sé stesso e la propria condizione nel mondo in cui vive. L'autore osserva come i neri siamo partiti dalla loro cultura prettamente africana per arrivare gradualmente a trovare la loro posizione nella società americana, fino a creare una forma d'arte che non può che definirsi eminentemente americana, nel senso che è il prodotto di persone nate e cresciute in America, facendo i conti con la cultura americana-occidentale. Ma l'autore osserva anche che la caratteristica principale delle creazioni più genuine dei neri americani è il fatto di aver conservato in maniera molto evidente tratti riconducibili all'anima africana di questo popolo, un'anima che è riuscita a sopravvivere alla schiavitù, alla segregazione e soprattutto a secoli di convivenza con una cultura diametralmente opposta e che ha cercato fino a non molto tempo fa di annichilirla, in quanto considerata deteriore ed inferiore rispetto alla cultura dominante occidentale.
Che il Jazz sia eminentemente una musica di matrice africana non credo debba essere argomentato, lo diceva chiaramente già Gunther Schuller nel suo bellissimo trattato sulla storia del Jazz.
Quello che secondo me è interessante discutere è il rapporto tra sostanza (intesa come la spinta emotiva che porta alla creazione artistica) e la forma (intesa come la manifestazione materiale della creazione).
E' indubbio che il successo del Jazz (e delle altre musiche afroamericane) è dovuto al fatto che anche gli occidentali sono stati sedotti dall'originalità di queste forme, da una musica eminentemente basata sul ritmo, con canoni estetici diametralmente opposti a quelli della musica occidentale. E fin dal principio i bianchi si sono cimentati con queste forme nuove con grande entusiasmo. Però, ed il libro di Baraka lo mette in luce con chiarezza, il prodotto di questi cimenti è sempre stato qualcosa di diverso dall'originale, perché per quanto si sforzassero di assimilare le forme ed i canoni del jazz, la sostanza ispiratrice della creazione era radicalmente diversa, era il frutto di secoli di cultura occidentale, di una visione del mondo opposta a quella degli afroamericani. Si badi, non migliore o peggiore, ma indubbiamente diversa. Penso che sia chiaro a tutti quanto sia diverso il mood di un Bix rispetto a quello di un Armstrong, quello di un Chet da quello di un Miles Davis (al di là di uno stile 'simile'), di uno Stan Getz rispetto ad un Sonny Rollins, e così via.
Fin qui è tutto chiaro, penso. Quello che mi chiedo è se sia possibile per un musicista di cultura 'occidentale' arrivare a creare musica jazz con lo stesso mood dei musicisti di cultura afroamericana (e parlo di cultura, NON di razza! un bianco che fosse adottato da una famiglia nera sarebbe sostanzialmente di cultura afroamericana, anche se biondo e con gli occhi azzurri...) a cui solitamente (e giustamente) ci si ispira. La risposta che mi do è che, con ogni probabilità, questo non solo non è possibile, ma non ha neanche molto senso farlo, perché il risultato rischia facilmente di essere nient'altro che una sterile copia dell'originale. Io penso che per fare musica ci si debba mettere l'anima, quanto di più vero e genuino ci sia dentro di noi, e che ci piaccia o no quello che c'è dentro un occidentale è radicalmente opposto a quello che c'è dentro ad un africano. Peraltro mi pare evidente come gli esempi più alti di jazz italiano sono proprio quelli che mostrano in maniera più chiaro l'imprinting della nostra cultura sulle forme di origine africana: se si ascoltano Rava, Fresu e Bosso (solo per rimanere tra i trombettisti) mi pare evidente quanto si senta praticamente sempre che sono musicisti italiani che suonano jazz...
L'altra riflessione che faccio è che per chi studia jazz a mio parere è fondamentale cercare di capire l'origine di queste forme aliene alla nostra cultura, perché sono in questa maniera si può cercare quantomeno di padroneggiarle in maniera opportuna. Che ci piaccia o no il jazz è una musica a noi estranea, e richiede un'interiorizzazione culturale prima ancora che tecnica, anche solo per quello che riguarda l'aspetto formale.
Che ne pensate, a parte che forse sono stato troppo prolisso?