Author Topic: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza  (Read 23960 times)

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Offline Franceschet

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #90 on: July 19, 2010, 02:30:55 PM »
Franceschet: ma non abbiamo gia' risposto ?
non mi sembra, ci sono degli abbozzi di idee qui e là; una strada proposta da  Norman ed un'altra strada proposta da Valejazz che mi sembrano essere in estrema discordanza o in antitesi se vuoi.
Salut.
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Offline nic

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #91 on: July 19, 2010, 04:18:33 PM »
non mi sembra, ci sono degli abbozzi di idee qui e là; una strada proposta da  Norman ed un'altra strada proposta da Valejazz che mi sembrano essere in estrema discordanza o in antitesi se vuoi.
Salut.

.. e poi c'è la mia umilissima tesi, nella quale sostengo - da antiromantico convinto - che bisogna fare attenzione ai valori storicistici. Cioè, io non credo che oggi si possa dire: il jazz lo fanno solo gli afroamericani perché loro hanno il ritmo e perché avrebbero il retaggio filogenetico della schiavitù.
Per esempio so per certo che Wynton Marsalis non ha svolto un'oncia di uno degli umilissimi lavoro che ho fatto io, in nero o a busta paga, e ben lungi da un contratto di schiavitù (ora sono prof, ma un tempo sono stato manovale, facchino ai macelli, cameriere ai matrimoni, ecc ecc).  E se pure fosse, quello non avrebbe nulla a che fare con la capacità di swingare o d'improvvisare su una scala blues.

La mia tesi recupera alcune indicazioni di quello che oggi s'intende per jazz:
1) improvvisazione
2) matrice blues
3) timbri
4) infine lo sviluppo del ceppo ritmico afroamericano

(correggete pure, perché sto improvvisando delle idee alla tastiera)

In questo senso Masada è a pieno diritto dentro qualsiasi definizione di jazz.
Nel mio intervento precedente dimenticavo di segnalare che il klezmer (come impiego di una musica che ha alle spalle l'Olocausto) è un intervento di grande intuizione da parte di Zorn. Zorn incrocia la tragedia dell'Olocausto con quella della schiavitù e come lo fa? miscelando stilemi del klezmer con quelli del blues.
Riassumendo: fa jazz in un modo coltissimo. I 4 (bianchissimi:Zorn, Douglas, Cohen, Baron) interpretano questa musica a progetto con un virtuosismo eccezionale. E mentre ascolti quella musica, come per il miglior jazz, ti scordi ogni riferimento còlto e resti incantato a ascoltare.
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Offline Norman

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #92 on: July 19, 2010, 05:08:01 PM »
Comunque nessuno ha mai sostenuto che solo i neri possono suonare jazz. Io dico solo che è più difficile per un bianco o a maggior ragione un europeo cogliere il senso più profondo ed il mood di questa musica. Difficile, ma non impossibile.

E comunque non voglio sminuire chi ha preso in mano le forme del jazz e le ha plasmate alla sua maniera: non sono un integralista del jazz (anzi, non sono integralista di niente...), la musica è di tutti, ed ognuno per me può farne quello che vuole, artisticamente parlando. Sono talmente tanti i modi di fare buona musica...

Ma il mio discorso è più che altro rivolto a chi si avvicina al jazz e cerca di imparare a suonarlo: la mia opinione è che ci sia troppa, troppa attenzione a fare le note 'giuste' ed a lavorare di intelletto su scale ed accordi e compagnia bella, mentre invece bisognerebbe prestare molta, molta più attenzione a cogliere lo spirito di quella musica, quello spirito grazie al quale a volta basta suonare tre note messe in croce per far sobbalzare dalla sedia gli ascoltatori... Il che poi è vero per qualsiasi musica, ma lo è particolarmente se la musica che si cerca di fare viene da molto lontano. L'anno scorso, il primo anno che andavo a lezione con Giuffredi (e dopo ben 10 anni di lezioni con un jazzista e non avendo MAI suonato classica), dopo aver suonato il tema di una ballad mi sento dire che lo suonavo in maniera lirica, all'italiana! E quando invece suonavo melodie italiane mi venivano spontaneamente bene! Per forza, mi dice il Giuffro: tu sei italiano! Ci sei nato e cresciuto in mezzo a questa musica, anche se non te ne rendi conto! Tutta la musica leggera a cui sei abituato, tutti i cantautori, tutti i grandi interpreti, tutti hanno un enorme debito verso la tradizione melodica operistica, e tutti noi siamo esposti fin da piccoli a tutto questo ogni volta che c'è una radio accesa nei paraggi! In quel mood noi ci siamo immersi fin dalla nascita, così come un nero americano è quasi sempre immerso fin dalla nascita in un contesto che, in misura variabile, trasuda comunque di blues, di gospel, di r'n'b e, talvolta, di jazz!

E comunque la distorsione che a mio parere è frequente nell'approccio degli studenti al jazz è evidente anche nello studio della teoria: ci sono tonnellate di manuali che parlano delle scale e degli accordi, ma pochissimi che affrontano lo studio di quella che è riconosciuta unanimemente (anche in questa discussione) come una caratteristica peculiare di questo genere, che è il ritmo! Prima di mettersi a studiare il rapporto tra scale ed accordi e prima di mettersi ad improvvisare pattern sarebbe molto più opportuno, a mio parere, passare tanto, ma tanto tempo studiando le varie divisioni ritmiche del jazz! Invece la quasi totalità dei manuali di improvvisazione liquida l'aspetto ritmico in poche paginette, il più delle volte tentando inutilmente di spiegare l'unica cosa veramente inspiegabile, che è lo swing...

Uno che ha padronanza del ritmo jazzistico ti può fare un intero chorus suonando una nota sola improvvisando solo ritmicamente facendoti saltare dalla sedia, mentre uno che non ha la padronanza del ritmo jazz può fare tutte le note giuste del mondo, ma non arriverà mai a quel livello lì...

Inutile dire che questa distorsione a mio parere è figlia proprio di questo grande fraintendimento sull'identità più profonda del jazz, della non comprensione della centralità dell'aspetto ritmico e, soprattutto, dell'approccio africano all'aspetto ritmico.
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Offline Jim Barda

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #93 on: July 19, 2010, 07:05:01 PM »
Ma il mio discorso è più che altro rivolto a chi si avvicina al jazz e cerca di imparare a suonarlo: la mia opinione è che ci sia troppa, troppa attenzione a fare le note 'giuste' ed a lavorare di intelletto su scale ed accordi e compagnia bella, mentre invece bisognerebbe prestare molta, molta più attenzione a cogliere lo spirito di quella musica, quello spirito grazie al quale a volta basta suonare tre note messe in croce per far sobbalzare dalla sedia gli ascoltatori... ,
Appunto.  ;D

Quali testi consiglieresti per lo studio del ritmo jazz(se ne esistono di adatti).

Offline eugeniovi

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #94 on: July 19, 2010, 08:10:11 PM »

Mi intrometto sperando di esserti utile:
Giorgio Azzolini: Solfeggi per il Jazz
I due metodi di Soana con il Cd per curare la pronuncia
Volume 1 Aebersold ( c'è in italiano)
Nino de Rose: Armonia e fraseggio Jazz
Schuller per capire lo sviluppo del linguaggio
Rifare gli assoli di Parker trascritti nel Charlie Parker Omnibook (a parte il tempo il Mib trasportato per tromba è comodo), ascoltali a 1/2 velocità dai dischi
Fare proprio che il tempo nel Jazz non è come nella ns. musica
Fare gli accordi al piano e le loro successioni più comuni, ascoltali bene (anatole, progressioni II-V7-I..etc)
Ascoltare, ascoltare, ascoltare ed ancora ascoltare quello che più ti 'prende'.....ripetere, ripetere, ripetere e ancora ripetere. Poi se hai talento ti farai un tuo 'stile'
Ciao, spero che altri ti indichino altri testi, oramai ne trovi decine.eugeniovi

Offline Franceschet

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #95 on: July 20, 2010, 09:07:18 AM »
Comunque nessuno ha mai sostenuto che solo i neri possono suonare jazz. Io dico solo che è più difficile per un bianco o a maggior ragione un europeo cogliere il senso più profondo ed il mood di questa musica. Difficile, ma non impossibile.


Ma il mio discorso è più che altro rivolto a chi si avvicina al jazz e cerca di imparare a suonarlo: la mia opinione è che ci sia troppa, troppa attenzione a fare le note 'giuste' ed a lavorare di intelletto su scale ed accordi e compagnia bella, mentre invece bisognerebbe prestare molta, molta più attenzione a cogliere lo spirito di quella musica, quello spirito grazie al quale a volta basta suonare tre note messe in croce per far sobbalzare dalla sedia gli ascoltatori... Il che poi è vero per qu una radio accesa nei paraggi! In quel mood noi ci siamo immersi fin dalla nascita, così come un nero americano è quasi sempre immerso fin dalla nascita in un contesto che, in misura variabile, trasuda comunque di blues, di gospel, di r'n'b e, talvolta, di jazz!


Uno che ha padronanza del ritmo jazzistico ti può fare un intero chorus suonando una nota sola improvvisando solo ritmicamente facendoti saltare dalla sedia, mentre uno che non ha la padronanza del ritmo jazz può fare tutte le note giuste del mondo, ma non arriverà mai a quel livello lì...

Inutile dire che questa distorsione a mio parere è figlia proprio di questo grande fraintendimento sull'identità più profonda del jazz, della non comprensione della centralità dell'aspetto ritmico e, soprattutto, dell'approccio africano all'aspetto ritmico.

D'accordissimo su tutto, anche se ho tagliato la citazione per spazio:
http://www.youtube.com/watch?v=Af9WckaPw88&feature=related
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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #96 on: July 20, 2010, 09:13:49 AM »
Comunque nessuno ha mai sostenuto che solo i neri possono suonare jazz

Lo so bene, Norman. Era una mia semplificazione grossolana di tesi già orecchiate o addirittura lette in qualche saggio
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Offline DarioT

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #97 on: July 20, 2010, 10:20:18 AM »
....ma il mood, si evolve ?
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Offline Jim Barda

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #98 on: July 20, 2010, 11:02:39 PM »
Mi intrometto sperando di esserti utile:

Eugenio sei gentilissimo, GRAZIE   pollices

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Offline Zosimo

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #100 on: July 22, 2010, 12:33:15 AM »
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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #102 on: July 22, 2010, 12:09:05 PM »
Non conosco questa Diamanda Galas, quindi non mi avventuro in giudizi o elucubrazioni varie. Mi viene però da fare un altro rilievo su un aspetto particolare: il jazz come musica d'arte. Penso sia pacifico che il jazz nasce come musica popolare e di intrattenimento. A mio parere quasi tutta la produzione musicale afroamericana è musica popolare, d'intrattenimento o comunque con funzione essenzialmente sociale (ad es. religiosa). Ecco, io ho l'impressione che il jazz abbia cominciato a 'morire' nel momento in cui i neri hanno sentito il bisogno di 'elevarla' a musica d'arte. Anche questo, a mio parere, è il frutto dello scontro culturale. Nella cultura africana la musica non è una forma d'arte, è semplicemente parte della vita. Ha funzioni ben precise, sociali e religiose soprattutto. Per la cultura africana la separazione tra vita ed arte non ha senso. Ciò non significa che alla musica non sia riconosciuto un valore importante, semplicemente questo valore è strettamente connaturato con la sua funzione nella vita di tutti i giorni. Ecco, penso che un altro dei modi in cui il jazz si è 'snaturato' è proprio quando lo hanno voluto 'elevare' a musica d'arte e da concerto. Lì a mio parere si è cominciato a perdere un pezzo d'anima, perché il jazz, come tutte le musiche afroamericane, aveva una ben precisa funzione sociale, ancora una volta legata all'anima africana, che piano piano si è andata a perdere. Ed è lì che l'influenza della cultura occidentale è stata a mio parere distruttiva (anche se poi ciò ha dato origine a tutto un filone di musica d'arte meravigliosa, ma che piano piano è uscita dal seminato), nel senso che ha contribuito a togliere al jazz una delle sue principali forze motrici. Non penso che sia un caso che dopo il free, ultimo momento di espressione del jazz come musica con una funzione sociale, l'evoluzione del jazz fondamentalmente si è o fermata, oppure si è stemperata in una pletora di esperimenti di fusione, per lo più rimasti nell'ambito della ricerca intellettuale ed avanguardistica.

Detto questo, anche sotto questo profilo penso che chi studia il jazz dovrebbe fare molta attenzione a non dimenticare la lezione della storia del jazz e dei grandi che l'hanno scritta: il jazz è musica che ha bisogno di un'interazione con il pubblico che vada oltre il rapporto tra artista ed ascoltatore. E' una musica che secondo me raggiunge l'apice della sua forza quando riesce veramente a creare una 'comunione' tra musicisti e pubblico. E' musica che non dovrebbe essere semplicemente improvvisata per il pubblico, ma improvvisata CON il pubblico! Troppo spesso invece si vedono jazzisti che sembrano suonare più per sé stessi che per chi li sta ascoltando (in particolare alle jam session...). E se questo è già un problema per qualsiasi forma musicale, lo è ancora di più per un genere che nasce con queste caratteristiche di grande compenetrazione tra chi suona e chi ascolta. Insomma, io al jazz da salotto intellettuale non ci credo mica tanto... Il jazz meno lo si 'pensa' e meglio è.

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #103 on: July 22, 2010, 01:15:27 PM »
A mio parere quasi tutta la produzione musicale afroamericana è musica popolare, d'intrattenimento o comunque con funzione essenzialmente sociale (ad es. religiosa). Ecco, io ho l'impressione che il jazz abbia cominciato a 'morire' nel momento in cui i neri hanno sentito il bisogno di 'elevarla' a musica d'arte.

Quanto dici è vero solo in parte. Anche se nei primi decenni del jazz l'aspetto popular e di intrattenimento danzante era centrale, soprattutto sul piano economico, la tensione a fondere questi elementi con aspetti "artistici" nasce fra gli afroamericani anche prima del jazz. Basti pensare all'attività di James Reese Europe negli anni '10, fra locali alla moda, concerti alla Carnegie Hall e la banda militare degli Hell's Fighters. A Scott Joplin e la sfortunata Treemonisha. Alle sinfonie di William Grant Still dal netto nazionalismo afroamericano, elaborate negli anni Venti, durante la Harlem Renaissance. Oppure gli Hot Five e Seven di Armstrong che non erano gruppi di lavoro, ma laboratori dove il leader sperimentava modi per evolvere il linguaggio New Orleans. Alle suite di Duke Ellington già negli anni Trenta, come Reminiscing in Tempo fino alla Black Brown & Beige del '43, da molti stroncata per il suo ampio respiro e l'abbandono delle modalità popular.

Insomma il jazz è tensione fra correnti diverse: Africa ed Europa, lettura e oralità, aspetti funzionali e ricerca artistica ecc ecc....il suo meticcciato rende impossibili letture univoche

Offline DarioT

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Re: Jazz, Africa, Occidente, forma e sostanza
« Reply #104 on: July 22, 2010, 01:25:13 PM »
.... E' musica che non dovrebbe essere semplicemente improvvisata per il pubblico, ma improvvisata CON il pubblico! Troppo spesso invece si vedono jazzisti che sembrano suonare più per sé stessi che per chi li sta ascoltando ....

Su questo non sono proprio d'accordo: se il jazz e' una forma di comunicazione, (e qualcuno di noi promuove la necessita' di "sentire" in un certo modo, per poterlo poi trasmettere), io comunico quello che ne ho voglia, non quello che la gente vuole sentire... al pubblico la scelta o meno di ascoltare quello che ho da dire.
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