Premetto che il titolo del post e’ ovviamente ironico e provocatorio, ma volevo condividere con voi l’esperienza “dolorosamente illuminante” che sto vivendo in questi giorni.
Circa due settimane fa, al culmine di una “strana” influenza durata 25 giorni con febbre a 39.5 (che per me, che ho normalmente una temperatura di 34.5 gradi e’ veramente una enormita’), ho pure rotto una costola in due punti.
Ora immaginatevi lo scenario: labbra massacrate dalla febbre e lo spettro dell’ulteriore inattivita’ causa costola rotta da una parte, ed i tradizionali impegni concertistici estivi (nulla di che, per fortuna sono solamente un amatore, pure scarso), che inesorabilmente si avvicinano, dall’altra. Il tutto ovviamente senza possibilita’ di sostituzione.
Risultato: disperazione totale.
Io sono un tizio un po’ stoico, da cui la decisione, forse un po’ folle, di provare lo stesso, a due giorni dalla prima rottura della costola (si perche’ poi, ovviamente a causa degli eccessi di tosse provocati dall’influenza, l’ho pure rifratturata…) a riprendere in mano lo strumento.
Ora, io non sono mai stato uno che suona con violenza, in compressione, ma, i primi tentativi di riprendere a suonare, mi hanno fatto capire quanto invece, nonostante tutto, facessi affidamento sui muscoli della cassa toracica per far viaggiare l’aria, e quanto mi irrigidissi per suonare. Il campanello d’allarme era il dolore che, immancabilmente si scatenava ogni qual volta io superassi un miserissimo la (secondo spazio)…
Non mi sono ovviamente arreso, ed ecco allora l’idea di trasformare il dolore alle costole, in uno strumento didattico che mi consentisse di capire come ottimizzare l’uso dell’aria. Ogni volta che sentivo dolore, significava semplicemente che stavo suonando in maniera poco efficiente.
Pian piano, un po’ follemente, con pazienza (ed un po’ di sofferenza), infinite scale, arpeggi e note lunghe, guidato “dal dolore”, mi sono ritrovato ad ottenere risultati che era almeno una decina d’anni che non ottenevo piu’ (ossia da quando ho smesso di studiare seriamente…), sia con tromba che con trombino.
La cosa che piu’ di tutte mi ha fatto riflettere (che e’ in definitiva quello che voglio condividere con voi), e’ la sensazione di minima fatica che sto provando in questi giorni nonostante la non trascurabile menomazione temporanea. In altre parole, ho dovuto rompermi una costola, per capire che sprecavo una quantita’ enorme di energie per nulla…e che si puo’ suonare “bene”, intonati, precisi e a qualsiasi altezza, anche con poca aria, se gestita bene…
Poi magari tra due o tre giorni risprofondero’ nel girone infernale dell’insoddisfazione tipico di chi insegue dei modelli di suono che comunque non sono alla sua portata, ma diciamo che, per oggi mi godo questa piccola conquista. ;-)
I.