Prendendo spunto dall'ennesima discussione sul rapporto tra tecnica e jazz, e sull'evoluzione della tecnica trombettistica, vorrei offrire uno spunto di riflessione.
Tony ha spesso sottolineato come la tecnica trombettistica, e soprattutto la didattica, si sia sviluppata enormemente nel corso dei decenni dal dopoguerra in poi. Questo è un dato di fatto. C'è chi, come Cesco e Locutus, sostiene che se i grandi del jazz avessero avuto una tecnica paragonabile a quella di massimo livello di oggi, probabilmente non sarebbero stati altrettanto grandi come musicisti. Per me questa è una bestialità totale. A parte il fatto che è una discussione senza senso, perché i trombettisti degli anni '40 non avevano alternative, vivevano nel loro tempo ed hanno fatto il massimo con quello che avevano, così come gli atleti di allora facevano il massimo con le tecniche di allenamento e le attrezzature di cui disponevano, ma trovo che pensare che il talento musicale dipenda dalla tecnica che uno ha sia un ragionamento semplicistico e persino sminuente per l'artista. L'artista di talento trova SEMPRE il modo di esprimere la sua creatività, e non sarebbe certo stata una tecnica diversa a limitare le grandi capacità di quei grandi musicisti. Potrei argomentare che forse avrebbero potuto fare di più, ma sarebbe una mera supposizione priva di fondamento, così come quella in senso opposto.
Dice: però oggi come quelli non ce n'è più... Beh, forse bisognerebbe prendere atto del fatto che il jazz come forma d'arte creativa ha già vissuto i suoi tempi migliori, ed ora vive una lunga vecchiaia, fatta di tanti ricordi e qualche occasionale sussulto. Il pendolo della musica è ormai andato altrove, ed i grandi talenti del nostro tempo si esprimono sempre più spesso seguendo altre strade, altri generi, altri strumenti, o persino altre forme d'arte. Alla fine aveva ragione Miles...